Questo è il wine blog di Stefano Il Nero, un contenitore indipendente, indisponente ed insufficiente di impressioni sul vino
ed il suo mondo.
Al centro il gusto, la tradizione, il territorio.

giovedì 19 febbraio 2009

I' CHIANTI AMERI'ANO

Vorrei stringergli la mano e congratularmi di cuore, dopo gli darei anche cinqu'anni di galera ma quello dopo. Stiamo parlando di un viticultore americano che, non conoscendolo, chiameremo John.
John una mattina si sveglia, si sbrodola con una tazza di corn flakes,un succo d’arancia, frutta fresca, toast al burro, uova con il bacon fritto, un paio di salsicce, pancakes e muffin con caffè e latte, una colazioncina americana che ti annebbierebbe un elefante indiano inseguito da un topo pakistano e invece John è ancora sano e pronto a vivere il sogno americano (fa pure la rima, grazie John!).
John ha un problema: gli manca il nome del suo vino appena prodotto.
John allora telefona al suo amico Albert che dello scienziato ha solo il nome e lavora al Lucky Store, il supermercato locale e gli chiede " Senti Einstein" (soprannome dell'amico Albert, gli americani hanno una fantasia...) "senti Einstein come si chiama un vino italiano da 20/30 dollari che hai li ? Come ? Ma dai !"
Grazie ad Albert John ha trovato il nome del suo vino : Key Auntie. Un altro sogno americano che si realizza, un'altra famiglia americana che emerge grazie al duro lavoro, alla tenacia ecc ecc; grazie John, storia commuovente, non piangevo così dai tempi del tuo Presidente Carter.

La scenetta stupida sopra non è propriamente uno scherzo e ce lo comunica direttamente la Coldiretti in questo comunicato stampa ricordandoci che tre su quattro dei prodotti alimentari "italiani" che si trovano all'estero sono falsi.
Negli USA l'ultimo vino di insana e dubitabonda costituzione è proprio il Key Auntie (avete capito bene, chianti!). Il buon "John" ha fatto una "pensata" niente male e pare abbia avuto un discreto successo di vendite; il Consorzio del Chianti Classico ha voluto puntualizzare "Il nostro Consorzio spende ogni anno 200.000 euro solo per difendere la propria immagine dai cloni del Gallo Nero prodotti in Europa, Stati Uniti o Australia".
Il logo del Gallo Nero è già registrato in 40 paesi ma non basta e si sta lavorando per registrare anche la denominazione "Chianti Classico" . Tutti costi che i vignaioli americani, cileni, australiani ecc. non devono certamente sopportare.
Il Chianti Classico è una realtà da 38 milioni di bottiglie prodotte da quasi 600 cantine toscane, il 30% circa della produzione va negli USA ovvero la stessa quantità di bottiglie destinate al mercato italiano (altro grande cliente la Germania con il 10%). Una reputazione ed un mercato da difendere con tutte le nostre forze e a tutti i livelli contro chi crede che la nostra capacità e la nostra tradizione siano banalmente "copiabili".
Oh ameri'ani "Pan d’un giorno e vin d’un anno, pan che canti e vin che salti”, questo un si copia, un s'impara, si sa. Così direbbe il nonno.

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martedì 17 febbraio 2009

QUINTA DE LA ROSA PORT 1999 LBV


Non sappiamo ancora se il vino Porto deve la sua celebrità alla risolutezza di una nutrita schiera di mercanti inglesi del '600 che, approdati ad Oporto, decidevano con tenacia di risalire il fiume della valle del Duoro, nel nord del Portogallo, in cerca di nettare d'uva prelibato e soprattutto anti-francese, alla mano di un monaco che allungava il vino del Duoro con acquavite o alla fantasia smisurata che un grande vino come questo sa risvegliare nella mente di musici in vena di nuove leggende da regalare alla già leggendaria storia del Portogallo.
"Siediti un attimo che ne parliamo con calma". E'stato dicendo così ad amico che ho scoperto qualche sera fa di avere in un cantuccio la delizia di Quinta De La Rosa: Port LBV 1999.
E' sceso nel bicchiere con il suo colore rubino tendente al viola senza le movenze della grande densità, mentre scivolava rilasciava subito intensi i pungoli dell'alcol e forti le essenza della frutta rossa che mi ricordavano i segni tipici di altro celebre vino: uno scapà a caso della Valpolicella. E' arrivato al palato dimostrandosi abbastanza equilibrato, dolce ma non dolciastro, un piglio di alcol in più rispetto all'atteso, vino non complesso ma elegante il nostro Quinta De La Rosa, non ricorda navi corsare ma più lo scivolare del fiume nella valle del Duoro verso la città del mare.
Vino leggero di tannini e non eccessivamente liquoroso, l'aspettativa data all'olfatto non trova il pieno riscontro all'assaggio, la discesa è,forse proprio per questo, morbida e delicata.
Quinta De La Rosa ci introduce così nel mondo del Port, il vino portoghese che ha nella fortificazione, ovvero il processo di aggiunta di acquavite durante la fermentazione, la sua caratteristica principale. La fortificazione conferisce al Port la sua straordinaria dolcezza e fragranza ed anche il grado alcolico molto alto (fra i 15 ed i 22 dicono i "disciplinari" portoghesi). Le varietà di Port sono molte (fino a 8 i tipi di uve in potenziale mix), il nostro Quinta della Rosa segna 21 gradi di volume alcolico e viene completamente prodotto con prevalenza di uva Touriga nacional e francesa nella zona del Duoro senza scendere a Oporto per l'affinamento come vuole la tradizione (o la leggenda chissà).
E' un LBV , un "Late Bottled Vintage" ovvero uve della stessa annata maturate in botte da 4 a 6 anni, quindi filtrato e affinato in bottiglia. I LBV vanno distinti, fra le tante varietà, almeno dai TAWNY PORT, prestigiosi mix di uve di diverse annate che invecchiano 10/20/30 anni a seconda del risultato che il fazendeiro vuole ottenere e ....della pazienza che ha.
Vino da meditazione ? No, non solo,...vino da .... una chicchiera con un po' di jazz, si eccoci, è un vino da... "atmosfera".

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venerdì 13 febbraio 2009

PICOLIT : STORIE ANTIGHE


Il mio carissimo amico Siro, giramondo per lavoro ma anche per scelta, mi invia la bellissima storia che gli ha raccontato un stravieli furlan e ci da l'occasione per parlare di Picolit. Grazie Siro. Scoltè ca.

"Qualche anno fa, andando a prendere del vino da un piccolo produttore nel cuore dei "Colli", ebbi il grande privilegio di ascoltare un anziano signore del posto che, seduti all’interno della sua piccola cantina davanti ad un bicchiere di buon vino, mi raccontò una storia molto affascinante sulle origini del Picolit. La regione dei Colli Orientali del Friuli è tra le altre cose una zona ad alta densità ornitologica ed i viticoltori locali combattevano quotidianamente contro gli uccelli che decimavano le loro pregiate uve; venne così l’idea di piantare, alternate alle viti “buone” un’uva dolce non adatta alla vinificazione, ma che gli uccelli preferivano di gran lunga alle uve tocai. Ciò che rimaneva di quest’uva, lasciata appassire sulle viti fino a novembre, veniva poi raccolto e schiacciato, acino per acino, mettendolo sul palmo della mano usando il pollice dell’altra. Ne usciva un vino leggermente passito e dolce al quale si dava scarsissimo valore: il picolit appunto.Un vino, mi disse questo anziano signore regalandomene una bottiglia in segno di amicizia, che lui si godeva un sorso la sera da solo, seduto fuori sull’aia, guardando la sua vite e la sua terra illuminata dalla luna."

Il Picolit appartiene alla storia del Friuli più di ogni altro vino. Di questo vitigno autoctono a bacca bianca posto per poche decine di ettari nella zona dei Colli Orientali del Friuli la storia se ne ricorda fin dall'epoca Romana ma è nell'ottocento che lo ritroviamo come vino di grandissimo prestigio : un vino di Re e Regine presente in tutte le Corti d'Europa.
E' il 2006 il primo anno di uscita con il Disciplinare di Produzione in DOCG, un disciplinare molto rigido che lo vuole al consumo almeno a 15 % di volume alcol minimo (16 per la sottozona Cialla) acidità minima a 4 g/l, non più di 4 tonnellate per ettaro la produzione delle uve con resa non superiore uva in vino al 55% e 22 ettolitri per ettaro (in verità è molto più bassa). Per il Disciplinare le sue uve devono essere presenti almeno al 85% e nel restante 15 solo uve dei "Colli" ma non Traminer!
Tipicamente giallo intenso, fruttato, decisamente dolce e persistente, raccomandato dai grandi intenditori a 12°C, il Picolit è unico come vino da meditazione; esattamente come lo raccontava l'anziano amico di Siro, un vino baciato dalla luna quando questa illumina la bellissime terre del Friul.
Vin e amis, un paradis. Mandi

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mercoledì 11 febbraio 2009

IL NICK SENZA SALE E SENZA STILE


Mauro è un bravo ragazzo padovano, non ha ancora trent'anni e sa il fatto suo in fatto di rugby. Ha fatto parecchia carriera visto che dalle ottime giovanili del Petrarca è arrivato, insieme al fratello Mirco, allo Stade Francais, stella del rugby transalpino.
Mauro dal '98 milita nella Nazionale Italiana di rugby,il suo ruolo nella squadra è il flanker,nella terza linea. Tutto questo fino a Sabato 7 febbraio 2009.
NIck Mallet è il coach della Nazionale Italiana di rugby , un sudafricano rugbisticamente pluri-decorato, un uomo che ama avere delle idee che lui pensi siano importanti.
Il Nick, dopo aver pianto per settimane lacrime di coccodrillo sulla mancanza, di giocatori adatti allo svolgimento del ruolo del "mediano di mischia" nella sua Nazionale ha comunicato al mondo che quel ruolo li, si proprio quello li, in occasione dell'esordio nel Torneo del Sei Nazioni lo avrebbe svolto il nostro Mauro che di solito in campo fa ben altro.
Il risultato (ben documentato qui) ha visto il
Mauro, come ampiamente prevedibile, inanellare una serie di errori da manuale che hanno di fatto regalato la partita agli avversari inglesi, ad aggravare la cosa la prestazione complessiva della squadra italiana è stata a dir poco imbarazzante.
Tutto il mondo rugbistico ha protestato contro il Nick Mallet sia per la scelta che di tecnico nulla aveva sia per aver esposto uno dei nostri campioni più seri ad una figuraccia che ha fatto storia nella storia del rugby ,ma soprattutto hanno protestato i nostri avversari decisamenti insoddisfatti di aver vinto con una squadra schierata in manifesta inferiorità tecnica (potere dello stile del rugby).
Fin qui possiamo parlare di una scelta stupida fatta da un sudafricano malato di jet lag o di un esempio di imparatus et insulsus o di un attacco improvviso di sindrome di Korsakoff. Una questione di senza sale insomma.
Il Nick però ha chiosato la sua già insipida prestazione dichiarando nel post partita al mondo rugbistico "il ragazzo (ovvero il Mauro) non è ancora pronto per quel ruolo". Un esempio di lucida mala gratia.
Nick Mallet sicuramente non ricorda che Oscar Wilde diceva "Solo i maestri di stile riescono a passare inosservati", altrimenti capirebbe bene perchè, in questi giorni, tutti continuano insistentemente a parlare (male) di lui.

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giovedì 5 febbraio 2009

"'S'IO FOSSI VINO" - IL CONCORSO LETTERARIO


Nell'area BLOG TO BLOG qui sotto trovate i blog che io seguo con maggior interesse; fra questi Divinando si distingue per la sua armonia e la sua sregolatezza, o almeno io lo trovo così.
Divinando, a mezzo della sua autorevole conduttrice Silvia Cerreto Guidi, ha aperto le porte il 22 gennaio alla Terza Edizione del suo Concorso letterario "S'io fossi vino...", il titolo riprende l'incipit dei versi del giocoliere del quattrocento Cecco Angiolieri e la sua celebre "S'io fossi foco..." ma i risultati sono decisamente di maggior gradevolezza.
Se avete passione per penna e calamaio cimentatevi, le istruzioni per l'uso le trovate qui.
Il concorso è intestato alla cinqucentesca Villa Petriolo della quale io ho sempre avuto un ottimo ricordo di Chianti ma da ora in poi starò più attento anche alla letteratura.

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martedì 3 febbraio 2009

LASCIA O RADDOPPIA


Di lasciare non se ne parla neanche...qui il problema è il raddoppio !! Quale delle due sia la cosa meno intelligente non ci vorrà molto a saperlo, quando gli effetti effluvei della Anteprima Amarone 2005 saranno svaniti e si tornerà ad assaggiarlo sulle tavole o nelle "banali" verticali allora capiremo il "raddoppio". Di chi si parla ? Ma delle dichiarazioni del Presidente del Consorzio Valpolicella sul futuro dell'Amarone:
" l'Amarone Doc viaggia controcorrente, forte degli 8,5 milioni di bottiglie vendute nel 2008. Con investimenti su nuovi terreni (rinnovato il 36% negli ultimi 7 anni) e ammodernamento cantine punta a raddoppiare la produzione in quattro anni, fino a 16 milioni di bottiglie che troveranno mercato in nuovi Paesi all'estero dove, per la prima volta, verrà dal 2010 organizzato l'evento 'Anteprima Amarone'..................Le aziende che producono Amarone sono 168. In Valpolicella gli ettari vitati sono 6.022, +200 rispetto all'anno scorso, con 90 milioni di euro di valore delle uve, stabile, e 205 milioni di fatturato globale dei vini" (ansa.it per newsfood.com)
Io non penso alla opportunità di negare al mondo intero la possibilità di gustare un sorso di Amarone, sono personcina difficile ma di cuore; io resto convinto che molti non si meritino nulla oltre un buon Franc ma la generosità e la franchezza del Consorzio Valpolicella sono preoccupanti.
Preoccupanti ma realistiche, il mondo funziona così, indietro non si torna, ma c'è modo e modo di andare avanti.
Quindi, posto ci sia spazio in Valpolicella per 16 milioni di bottiglie, e non mi riferisco all'ingombro del vetro, credo la necessità di suddividerne le qualità sia a questo punto indispensabile.
Qui però non si parla di citare una Riserva in più o una nuova altra frammentazione ma di individuare classificazioni che ricorrano al riconoscimento del metodo certificato di produzione su tutta la filiera per la individuazione del clou, del vertice, del "vero" contro il solo brand.
Di fronte a queste dichiarazioni quindi niente allarmismo o ritorni a istinti iper-tradizionalisti, solo una attenta suddivisione fra il "bene" ed il......"meno bene".
Esporteremo bottiglie di serie B ? Ricordiamoci che in Italia nulla è di serie B, tutto è di A1 o di A2, siamo geniali noi.
Vorrà dire che gli americani ed i russi berranno Amarone di serie A2 ? Embhè, mica ci sta bene l'Amarone con le uova di storione o con l'hamburger e patatine. Datevi pazienza. Be quiet. In russo non lo so.

PUBBLICATO DA Stefano il Nero in origine su Terroir Amarone -

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