Questo è il wine blog di Stefano Il Nero, un contenitore indipendente, indisponente ed insufficiente di impressioni sul vino
ed il suo mondo.
Al centro il gusto, la tradizione, il territorio.

sabato 30 maggio 2009

PAROLA DI BLOG : DUCCIO FUMERO Rugby 1823

Duccio è prima di tutto “malato di rugby”, solo dopo arriva la sua professione di giornalista “open”, la sua passione per i thriller o la letteratura noir; quelli che lo conoscono davvero bene potrebbero anche pensare che la sua “patologia ovale” possa anche superare lo smisurato amore per la sua Milano.
Il suo blog accompagna centinaia di appassionati di rugby dentro le grandi e le piccole notizie che la stampa sportiva, non solo perchè asservita totalmente al calcio, non da e non darà mai; ecco che allora il mondo blog diventa per il rugby, oggi più che mai, non “una” ma bensì “la” informazione. Duccio però nel suo Rugby 1823 ci mette qualcosa di più, ci mette la passione e i valori dell’ovale, racconta le manfrine del potere ed i risultati di tutti gli emisferi, le bizze dei campioni ma soprattutto le storie della gente. La gente del rugby. So cosa pensate, no, non è la stessa cosa.
Sentiamoci cosa ci racconta l'oval-blogger milanese: parola di blog.
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Ciao Duccio , tu segui il rugby o è lui che segue te?
Probabilmente è il rugby che perseguita mia moglie, che non ne può più di vedermi attaccato alla tv, al blog e girare il mondo dietro all’ovale.
Secondo te il rugby è 2.0 ?
Il rugby mondiale è già 3.0 nell’universo sportivo. In Italia, invece, credo che la palla ovale sia ferma al Dos e, se va bene, naviga a 56k, ma comunque in brutte acque.
La Federazione del Rugby è 2.0 ? Mallett sicuramente si visto che sceglie i giocatori tramite wikipendia!
La Federazione sta al rugby come un hacker sta a internet. Con la differenza che l’hacker sa benissimo cosa sta facendo, i federali danno l’impressione di non averne idea! Mallett, invece, è uno di quei virus che mentre scrivi su Word inizia a cancellare le parole, a mischiare le lettere, a ribaltare la schermata: insomma, dove passa lui non ci si capisce più nulla.
Il rugby è uno sport italiano o uno sport importato ? In tutti i casi ce lo dovremmo fare noi in casa o lo dobbiamo omologare ad altro ?
Il rugby è globale. Non esiste un rugby italiano, uno inglese, uno francese o uno sudafricano. Esistono filosofie diverse di pensare il rugby. Filosofie che si adattano ai fisici, agli atleti, alle caratteristiche e alla storia. Noi abbiamo 80 anni di storia, da cui partire per crescere. Cambiando, di sicuro, ma non buttando via un secolo di rugby italiano.
Il movimento rugbistico italiano è in grande crisi, la svolta parte dal basso o dall’alto?
Bella domanda. Dovrebbe partire dall’alto, ma visto chi c’è su… mi vien paura solo a pensarci. Se poi, però, volgo lo sguardo in basso, piango. Perché, al di là di migliaia di appassionati volenterosi, di rugbisti che sacrificano molto per la palla ovale, di genitori, bimbi, allenatori che fanno tantissimo per questo sport, purtroppo c’è anche tanto, troppo, provincialismo ed egoismo. Da dove far partire la svolta? Lo sapessi…
Chi è troppo in basso e chi troppo in alto nel movimento ora?
Troppo in basso: di sicuro le ragazze, snobbate dalla Federazione e dai media, mentre il rugby femminile è una bellissima realtà da far crescere. E poi molti uomini che hanno fatto la storia di questo sport, che lo hanno vissuto per decenni, che ancora lo vivono, ma che devono subire le imposizioni dall’alto. E chi c’è troppo in alto? Vai sul sito Fir, guarda l’elenco dei consiglieri federali, quello dei tecnici federali e di chi gestisce un po’ tutto. Ecco, loro. Se vuoi nomi e cognomi, beh, per iniziare devo capire il ruolo di Franco Ascione, Carlo Checchinato e Alessandro Troncon.
Meglio un rugby veloce diciamo “emisfero sud” o un rugby tecnico “europeo” ? perché?
Io preferisco il nostro sano, vecchio rugby europeo. Perché? Perché quello australe assomiglia sempre più al rugby league, tutto velocità, fisico e trequarti. Da noi, invece, un filo di pancetta non è reato e le mischie sono ancora il fulcro del gioco. E la mischia è il rugby.
10 anni di Sei Nazioni, un bilancio; 7 anni di Super10, un altro bilancio. Da che parte pende la bilancia?
Sei Nazioni: positivo. Dal punto di vista mediatico un successo, da quello tecnico una buona crescita prima dell’era Mallett. Ma si può ripartire.
Super10: fallimento più unico che raro. I match sono equilibrati? Sì, per un livellamento verso il basso. Poco appeal mediatico, poco appeal sportivo, troppi stranieri, pochissimi giovani italiani lanciati. E la sfiga (ops, sfida) di Sky: da quando possiamo goderci il rugby mondiale ogni settimana, vedere il nostro è triste.
La Celtic League davvero a cosa serve ? Secondo te chi ci andrà?
Se fatta bene può rivoluzionare il rugby italiano. In pochi anni ha risollevato le sorti delle tre nazioni celtiche, e i risultati lo dimostrano. Bisogna, però, che sia fatto in modo intelligente, sia nella scelta dei due club sia, soprattutto, nel non uccidere il campionato italiano. Chi ci va? Non ne ho la più pallida idea, ma se andassero Treviso e Calvisano, allora inizierei a pensare malissimo…
Ho incrociato per strada uno dei Dogi di trent’anni fa. Perché certe cose si sono fermate (Zebre, Lupi..) ? Non è forse anche questo il male del rugby? Non stiamo tradendo lo spirito di Selezione e torneistico qui da noi?
Dogi, come le Zebre o i Lupi, erano possibili una volta. E, anche allora, come momenti unici e rari. Lo spirito di selezione è un’invenzione moderna, del rugby professionistico. Vedi Celtic League o Super 14. I Barbarians, i Lions o i Dogi e le Zebre erano club a inviti, riservati e che si facevano attendere. Se i Lions facessero un tour ogni 6 mesi avrebbero lo stesso fascino che hanno ora? I Barbarians, spesso pieni di seconde scelte, hanno ancora fascino?
Cosa pensi di Dondi ?
Che ci ha portato nel 6 Nazioni e per questo entra di diritto nella storia di questo sport. Ma è, appunto, storia. Passata.
E lui cosa penserà di te?
Dubito perda il suo tempo a pensare a Duccio Fumero e al mio blog. Ma in Federazione c'è più di una persona che mi pensa... e tranne rare occasioni, non sono pensieri felici.
“I blog hanno fatto male al rugby” mi ha detto un grosso personaggio del rugby veneto una volta, non mi basta smentirlo, vorrei sapere secondo te perché me lo ha detto
Probabilmente perché un blog ha parlato male di lui. A parte gli scherzi, per molti personaggi del rugby l’idea di uscire dal ghetto in cui stavano così bene è difficile. Venir criticati, messi in discussione non è nelle loro corde. Non ci sono abituati. Da quando siamo nel 6 Nazioni la nazionale ha vissuto in un mondo ovattato. Mai criticata, mai messa in discussione. Fino a uno-due anni fa. Quando sono nati i blog, che non sono controllabili come la stampa. Come detto prima, il rugby in Italia è lontanissimo da essere 2.0 e molti che vivono di rugby da anni devono ancora capire cosa sia la comunicazione. Purtroppo ho un paio di esempi di bravi ragazzi rovinati da questa esposizione mediatica. Ora non sono più loro, e mi dispiace.
Perché scrivi di rugby on line, con il calcio ci faresti anche due euri
Non sottovalutare le potenzialità del rugby. Non mi fa vivere, ma il blog mi dà le mie soddisfazioni anche economiche. E poi, se dicessi quello che penso in un blog calcistico, avrei vita molto breve. Lì la verità non si può dire, neanche in un blog.
Milano ed il rugby oggi, perché solo così?
Milano soffre il dominio del calcio. Milano ha sofferto la faccenda Polisportiva Milan. E a Milano mancano i dirigenti che sappiano avvicinare i milanesi alla palla ovale. Ma sono fiducioso. La gente valida c'è, deve solo essere messa in grado di fare bene il suo lavoro. Perché, sotto sotto, l'humus rugbistico milanese è fertile e vivo.
Quando chiuderai il tuo blog ?
Quando il rugby avrà una tale visibilità, un tale spazio mediatico e i colleghi saranno messi in grado di raccontare il mondo della palla ovale quotidianamente da rendere inutile il blog. Ma forse, anche allora, mi terrei il mio piccolo angolo dove raccontare quel rugby che sui giornali non può venir raccontato

Grazie Duccio, chiaro ed esaustivo come sempre, non c'è più niente da dire tranne forse ricordare che : "Il rugby sono 14 uomini che lavorano insieme per dare al quindicesimo mezzo metro di vantaggio.".Questo non è da tutti ed è un esempio per tutti, anche per il rugby. PAROLA DI BLOG.


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martedì 26 maggio 2009

OSSERVATORIO WINE E 2.0 : SCONTRO FINALE !! (2^ PUNTATA)

Sarò breve.
Tutto quello che c’era da dire di urgente su quel Convegno lo abbiamo detto qui ed il perché lo riprendiamo adesso è palese: cerchiamo dei punti di contatto, perché qui di vino si parla e non di duepuntozero
Già di vino si parla, esattamente di quello di cui si è parlato pochissimo in quella giornata. Saltando la degustazione alla fine si poteva anche essere andati ad un raduno di blogger della motocicletta a miscela o di appassionati del salto del pop-corn e, tranne pochi interventi, poco sarebbe cambiato. Analisi impietosa ? Mha, non siamo però così distanti.
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Credo che il mondo del vino, soprattutto per la sua potente autoreferenzialità, non sia confondibile con qualsiasi altro settore. Il markettinaro di turno non può venire a recitare la sua bella filosofia densa di significati astratti, anche molto suggestivi, senza aver studiato a fondo come quella cosa liquida rossa o bianca esce sotto forma di acino da una vigna, magari a diverse centinaia di chilometri da casa tua, e poi te la ritrovi sul tavolo al desinare.
La base del successo di un investimento in 2.0 non è il tempo, come è stato detto al Convegno, ma è la penetrabilità che dal 2.0 si riesce a ricavare a favore del produttore/consumatore.
Il vino è un prodotto tangibile e la stessa etichetta in diverse annate non è la stessa cosa quindi il vino è una notizia ad ogni annata, è una integrazione produttore consumatore ad ogni contatto, è una opportunità di incontro continuo. Per questo è un prodotto 2.0 di per se.
Volete un esempio di distanza dal mondo del vino? Un guru del 2.0 ha detto al Convegno : “Il vino è un oggetto sociale di per se , non si beve mai da soli”. State ridendo a crepapelle ? Smettetela perché non mi pare educato, un po’ di rispetto. Il problema infatti non è se sia vero o no l’affermazione di cui sopra ma è semmai : cosa c’entra una frase del genere con la specificità del vino ? e rispetto al 2.0 ? Al massimo vale per una campagna pubblicitaria. Punto.
L’Osservatorio Wine ha lavorato bene e la eccezionalità del suo intervento sta, a mio avviso, nell'aver mostrato crudemente la realtà dei fatti, verrebbe da dire : il re è nudo.
Cari amici osservatori dell’Osservatorio, non intendo però esimermi dal fare almeno una proposta, si perché…. si sa che…. chi si estranea dalla lotta…… .
Ecco la proposta in punta di lancia allora : la prossima volta che organizzate un dibattito di questo tipo, se proprio dovete piazzare sul palco dodici sedie, fate almeno a metà: sei duepuntozeristi e sei fra produttori e rappresentanti dei consumatori. Questo sarebbe un palco di gran lunga più 2.0 di quello visto a Verona quel dì di maggio, vedremo risultati sorprendenti o forse anche no. Giù il sipario.

“Prima di lasciarvi vorrei proprio lasciarvi un messaggio positivo. Ma non ce l'ho. Fa lo stesso se vi lascio due messaggi negativi?” (Woody Allen)
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sabato 23 maggio 2009

IL TRE FILER DALLA LUGANA : 2005 CA' DEI FRATI

Ci sono vini che, per un appassionato, sono legati ad una storia o rappresentano un taglio di vita o chissà che altro ancora; è la capacità che hanno le cose buone di uscire da se stesse e di lasciarti una sensazione in più legata ad un ricordo, ad una emozione, ad una storia intera.
Così alcuni vini rappresentano un passaggio a volte più importante di quello che essi stessi riescono a rappresentare e sicuramente molto al di la di dove voleva arrivare il contadino.
Non sono mai stato a Ca’ dei Frati, ci sono passato accanto chissà quante volte li a Lugana di Sirmione, ma io il suo Tre Filer non sono mai riuscito ad associarlo ad una cantina.
Per me, che sono da sempre un grande estimatore di questa bellissima fusion di Lugana – Chardonnay – Sauvignon Blanc, il Tre Filer esiste a prescindere, come se fosse una diretta emanazione di Bacco, una creazione talmente eccezionale da non dover per forza sottostare alla legge del vitigno e a quella del fattore.
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Non sono, l’ho già detto altre volte e lo ripeto, non sono un estimatore del vino dolce, certo tutto il vino ha la sua dimensione ed intensità ma come il vino dolce è alla fine della Carta, così è nella mia lista di interesse enologico. Il Tre Filer invece mi ha preso davvero.
Si chiama Luca ed è l'artista della sala di un noto ristorante che mi ha introdotto a questa produzione di Ca dei Frati, ne ho ricavato ottime figure a tavola durante pranzi di lavoro ed apprezzati brindisi con biscottini di Prato o “zaeti” padovani negli incontri con gli amici più cari.
Tre Filer è un vino secco che nasce da una “appassimento delle uve su graticci per 90 giorni, inizio fermentazione in acciaio e completamento in barrique”; in barrique il malico se ne va in lattico e anidride carbonica e nel barrique il nostro rimane per circa un anno ancora prima di farsene un altro in bottiglia ed arrivare a noi con i suoi 13.5 gradi di volume alcolico.
Dati tecnici : acidità totale 6,60 g/L, zuccheri residui 150 g/L, pH 3,40. Mha !!!
In una sola paraola il Tre Filer è: forte.
Il suo colore è densamente biondo, scuro e forte già nell’aspetto non ti lascia scampo quando ti avvicini al bordo del bicchiere: di gran profondità, ti fa prendere da un intenso profumo di mela, decisamente aromatico ma senza quelle sfumature esageratamente dolciastre che fanno vergognare alcuni vini dolci.
L’assaggio è decisamente importante, riempie la bocca con la sua densità apparente, assolutamente equilibrato, non si apre mai perché è assolutamente stabile, deciso e molto persistente. Pieno e dolcemente acido si chiude senza alcuna raffinatezza, la sua ineleganza è una bellezza.
E’ un vino da brindisi? Si anche, però con troppa personalità per essere un vino da “meditazione.
Benvenuto Tre Filer, piccola sorpresa del mondo della Lugana, un mondo adagiato li dove “il lago” fa la pancia, dove i filari sconfinano fra Brescia e Verona guardando orgogliosi e senza alcun timore riverenziale le più riverite Valpolicella e Franciacorta.
Bravi in Ca’ dei Frati, ottimo lavoro


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domenica 17 maggio 2009

PROSECCO, UNESCO E LEONARDO DA VINCI.

Venezia e la sua Laguna, il Cenacolo di Leonardo da Vinci, Portovenere e le Cinque Terre, i monumenti Paleocristiani di Ravenna, il centro storico di Pienza, San Gimignano, il Centro storico di Roma, Amalfi, la Reggia di Caserta, i templi di Agrigento, Noto, le Isole Eolie.
Sapete cosa hanno in comune tutte queste assolute bellezze del nostro suolo patrio? Sono Patrimonio mondiale dell’Unesco.
Tradotto in italiano Unesco è “l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura”. Bellissimo.
Pensate che in Italia, il più bel paese del mondo suvvia andiamone fieri, ci sono “solo” una quarantina di siti considerati Patrimonio mondiale dell’Unesco.
Anche a voi sono parsi pochi ?? Bhe non siete gli unici.
Una quarantina di siti devono essere sembrati pochi anche ai capi del Consorzio per la tutela del Vino Prosecco se hanno deciso che in fondo un sitarelo si poteva chiedere ancora e così hanno preparato il dossier.
Il dossier, da presentare ovviamente all’Unesco per essere ammessi al Supremo Patrimonio mondiale, su cosa verteva or dunque? Una domanda a favore delle ville del Canova o del Palladio? La bellissima Asolo? La Via Claudia Augusta? I meravigliosi castelli feudali trevigiani?
No quelli del Consorzio il dossier lo hanno preparato richiedendo venga considerato Patrimonio dell’Unesco la zona di Conegliano e Valdobbiadene.
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Ecco, direttamente dal Consorzio trevigiano, la motivazione:“L’area di Conegliano Valdobbiadene con le sue colline ricamate di vigneti e un ambiente ancora intatto, secondo i tecnici, possiede i requisiti per vincere questa sfida con il proprio valore ambientale. Dopo il riconoscimento a primo Distretto Spumantistico d’Italia, quindi, il nuovo obiettivo è divenire primo Patrimonio “vitivinicolo” Unesco.
A Montalcino, nelle Langhe e forse, più vicino, in Valpolicella, si sono rabaltati (dalle risate ?).
In sintesi quelli del Consorzio del Prosecco dicono di voler mettere il territorio al centro, ogni attività deve far riferimento al territorio, sia quindi quest’ultimo il tratto distintivo. Niente da dire, anzi, è una consapevolezza che fa onore ai sempre laboriosissimi operatori della Marca; ovvio che, per realizzare una operazione di questo genere, il mondo-marketing legato al Prosecco abbia dovuto spremere non poco le meningi.
Ma c’era bisogno di scomodare l’Unesco?
Chissà se il toscanaccio cresciuto fra il 400 ed il 500 italiano avesse saputo che, invece di mettersi ad affrescare il Cenacolo, bastava piantare una vigna per passare alla storia, quale esclamazione avrebbe elevato al cielo? Posto che è tardino per mettersi a far domande argute a Leonardo da Vinci appropinquiamoci alla riflessione senza autorevoli aiuti esterni.
Caro Presidente del Consorzio in questione, ma lei pensa veramente che il “territorio di Treviso e dintorni” sia rappresentato in primis dal pur autorevole vitigno che lei promuove e tutela ? Non è che qualcuno dei suoi vicini di casa abbia ragione ad offendersi ? Io mi rendo conto che il Canova ed il Palladio fanno compagnia a Leonardo da un bel pezzo e che le pietre di Asolo non possono parlare ma il buon senso si.
Il territorio sono tante cose insieme, prima di tutto cultura, educazione e scienza (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) e poi tutte le sue tradizioni e la sua vita genuina di ogni giorno, se in Italia bastasse un vitigno oltre a monumenti ed arte allora i siti sarebbero già 400 e non 40. Guardi che la nostra italica fortuna è avere il vitigno oltre a tutto il resto.
Immagino le brochure di promozione del Veneto dopo la approvazione dell’Unesco alla pensata cosorziale “……e dopo due giorni a Venezia, un giro di due giorni fra i vigneti di Conegliano, se indossate gli scarponcini adatti e se arrivate fra agosto ed settembre ve li facciamo anche potare gratis, in Italia noi la chiamiamo ven-dem-mi-a, come dite voi in Australia ?”.
Vedremo quel che dirà l’Unesco. Temo la politica. Se sarà un si, tanto di guadagnato, con buona pace del centro storico di Siena e della zona archelogica con Basilica di Aquileia (Patrimioni dell'Unesco... of course...che ci sia vino a Siena ed in Friuli?)
Chissà quanti altri modi c’erano per ricordare il Prosecco che i maghi del marketing non hanno pensato; già il buon Prosecco, io me ne sono degustato un prezioso calice proprio oggi…..ma i maghi scelti dal Consorzio erano forse astemi ??


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mercoledì 13 maggio 2009

OSSERVATORIO WINE E 2.0 : URCA CHE BOTTA (1^ Puntata)


Forse alcuni di voi non lo sanno ma giovedi 6 maggio è inziata la “Prima Settimana europea delle PMI (piccole e medie imprese)”. Sono certo che in molte aziende italiane si sarà festeggiata la cosa a suon di botti e champagne, “evviva è la mia settimana” hanno urlato al cielo centinaia di imprenditori piccoli e medi (???), mi immagino i pianti e le urla di disperazione quando arriverà giovedi 14, “ma come è già finita? Proprio adesso che cominciavo a divertirmi” diranno tutti.
Sta di fatto che nell’ambito di tale super settimana una delle iniziative (in verità era l’unica di cui mi sia giunta notizia ma è anche vero che sono un distrattone) è stata organizzata da Osservatorio Wine: un pomeriggione veronese di convegno per parlare del meccanismo fra imprenditore vitivinicolo e nuove tecnologie, protagonista il 2.0. Wow.
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Una iniziativa strutturalmente lodevole imbastita con passione intorno al 2.0 e ai risultati di ricerche che analizzavano il comportamento dei suddetti imprenditori del vino, ovviamente piccoli e medi perché a loro bisognava fare la festa, e che ha rivelato un risultato inaspettato.
Dopo i saluti e le introduzioni di rito ed una bellissima e pragmatica relazione di Roberta Capitello è toccato alla lettura dei dati. Tralasciando il dettaglio questi risultati dicevano le solite cose scontate ovvero che gli imprenditori non si impegnano nel mondo web, che in pochi hanno capito cosa è, che quasi nessuno si muove nel 2.0, che vivono ancora di carta stampata e via così cantando. Nessuno è svenuto dalla sorpresa, solo due hanno dormicchiato.
Ma dopo cotanta ricerca è toccato a loro: è partita la tavola rotonda !!! Sono saliti in dodici sul tavolo dei conferenzieri, tutta gente 2.0: online marketing professional, Information Architect Internet wine marketer, social media strategist .… pochi e scontati quelli che facevano un lavoro traducibile in italiano (giornalista, addetto stampa…nomi poco “trendy” e quindi destinati a scomparire). Comunque tutti 2.0, quello si. Giovani facce simpatiche che hanno cominciato a parlare con molte parole italiane e molte parole 2.0 di concetti come: il singolo è oggi un network, il vino è un oggetto sociale , il vino è un viatico di impresa diffusa, io non so niente di vino mi occupo di marketing, i media sociali si basano sulla generosità (qui a più di uno è scesa una lacrimuccia di commozione). In sintesi giù rimproveri ai “piccoli e medi” in sala perché non capivano la portata di tutto quella marea di duepuntozero che invadeva di opportunità la loro vita e invece loro giù a fare vino ancora con l’uva.
Dopo un’ora di parole duepuntozeresche si è alzato Marco ed ha fatto una domanda “Qualcuno può spiegare cosa vuol dire 2.0 ?”
In sala, dopo un'ora di silenzio, è scoppiato un forte e sentito applauso, i piccoli e medi per un attimo sembravano tutti la FIAT e quando eravamo ad un passo dalla ola per Marco tutti in sala hanno capito quale doveva essere il vero risultato del convegno.
Da li in poi un dilagare, uno dei "dodici" (coincidenze?) sul palco ha ricordato agli altri undici che per fare e vendere vino, internet è solo un pezzo (anche piccolino) di tutta una lunga filiera, un'altra ha sparato contro la pubblicità travestita da informazione che rischia di rovinare il web e la sua attendibilità, un addetto stampa ha praticamente dichiarato che non manda mai i suoi comunicati a nessuno del mondo 2.0 a meno che non sia giornalista iscritto all’albo (quello cartaceo eh), un altro ha detto che fare il ghost writer (scrivere i blog aziendali per conto di altri) “non sarà mai vero come lo scrivesse chi il vino lo fa davvero” (viva l'onestà, se ne trovano pochi così), l’ultimo ha detto “il blog non è più libero quando è fatto dai professionisti della comunicazione” (cioè loro??).
A quel punto il dubbio era caldo nelle mani di “piccoli e medi” e dei “dodici” sul palco, il risultato era tangibile: magari gli imprenditori del vino saranno tardivi nell’approcciare le varie tecnologie del 2.0. ma gli strategist professionl information social media architect sanno parlare a questa gente? Sanno che lavoro fa questa gente e di cosa ha veramente bisogno? Questi guru della comunicazione sanno comunicare ai loro potenziali clienti? Mha.
Rimane un dubbio anche a voi: cosa è il 2.0 ? le 2.0 c'est moi e………..il resto alla prossima puntata.

giovedì 7 maggio 2009

ALTO ADIGE : CASTELFEDER PINOT NERO DOC

Ho avuto lunghe dissertazioni con un amico di straordinaria abilità Eno-Logica colpevole, a mio avviso, di aver macinato una quantità di chilometri troppo alta fra i vitigni dell’Alto Adige tralasciando con colpevole gioiosità e per un periodo troppo lungo il resto dei declivi italici.
Sono state sfide all’ultimo bicchiere, lui andava a Bolzano e io a Firenze, lui faceva un giro in Val d’Isarco e io gli invadevo la Valpolicella (quella “allargata” però…ahi ahi).
Lo dico perché il baffobarbuto in questione se la riderà di gusto quando leggerà qui che, “costretto” da goderecci eventi, ho dovuto spogliare la mia cantina di un Pinot Nero decisamente lieb e ne ho provato gran gioia io pure.
Va bene hai vinto, frequenterò di più le cantine dell’Alto Adige, perché non c’è solo il gewurztraminer aperitivo dei pischelli, non lo dico io è oramai credenza diffusa, ma ben altro a nord della piana rotaliana.
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Castelfeder ha la cantina di produzione a Cortina; lungi da noi però evocare lunghe corse sugli sci e sapori della cucina e cultura veneta, la nostra infatti è la Cortina che conta davvero, almeno per noi, ovvero Cortina sulla Strada del Vino, così si chiama il paese nella area sudista della bella Provincia di Bolzano.
Un benarrivato saluta i 13,5 gradi alcolici del Pinot Nero Doc Alto Adige di Castelfeder, la mia diffidenza si scioglie al contatto visivo, un rubino non intenso con una unghia sfumata e piacevole accompagna un naso dai profondi tratti di bacca rossa, l’assaggio regala una bevuta garbata, non eccessiva, piena una ciliegia addolcita dal barrique, non allappante, questo pinot ti accompagna nel pasto con il suo equilibrio docile che difficilmente oltrepassa vistosamente il palato.
Alla fine il Pinot Nero della famiglia Giovanett si dimostra un vino importante nella sua semplice raffinatezza.
La Castelfeder certifica la “nascita” del suo Pinot Nero sulle colline argillose di Gleno (Fraz. Di Montagna) su vitigni che regalano una resa di 60 hl/ha quindi …..”dopo tre giorni di macerazione a freddo,il vino fermenta per circa 15 giorni a temperatura costante (28-30° C). …durante la fermentazione il mosto viene a contatto con le bucce per travaso e leggera pigiatura a intervalli regolari…dopo due prudenti spillature due terzi del vino subiscono un lento processo di maturazione per 18 mesi in barrique”.
Bravi i Giovanett, bella cosa, garbata e piacevole; caro amico coi baffi….ok il prossimo Pinot Nero lo offro io. Altoatesino…..natùrlich.

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martedì 5 maggio 2009

RUGBY & POTERE : OVER THE TOP

Cari amici del mondo ovale ci siamo, adesso si i giorni sono contati. Catrastrofica previsione? Irrazionali rinunce alla razionalità? Tranquilli, niente di questo, solo constatazione.
Il mondo del rugby attraversa un momento molto delicato, la nazionale si è recentemente schiantata e, soprattutto, con lei si sono schiantate tutte le giovanili, il campionato, la Lega ecc, insomma si sono dissolte una serie di teorie dell’attuale vertice della preposta Federazione (FIR) su come si organizza e si fa crescere un movimento sportivo.
Si aspettavano i correttivi che, come in tutte le storie e vicissitudini di organizzazioni complesse e non solo sportive, rappresentano un indirizzo su come “se ne esce fuori”, prima ancora che una vera soluzione per il quale ci sono tempi sempre un po’ più lunghi.
Decisioni di questo tipo sono segnali che le organizzazioni (sportive e non) danno per definire lo start up di una nuova strategia, aprire un porta al futuro, ri-guadagnare la fiducia degli altri e la propria, attuare una ripartenza, si una ripartenza, questo è il termine esatto.
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Dondi (Presidente della FIR) aveva già annunciato profondi cambiamenti nello staff azzurro dopo il Sei Nazioni e soprattutto pareva davvero costretto (intenzionato ?? mha !!) a ridefinire i contorni di tutta la organizzazione FIR per dare nuovo slancio al movimento.
La notizia, come capita spesso qui per scelta del blogger, non è nuova: la FIR infatti ha sentenziato che non cambi assolutamente nulla.
Mallet, il ct della nazionale, resta al suo posto e così tutti i collaboratori FIR, niente incarichi speciali a nuove figure, nessuna apertura al dibattito sul futuro del movimento. Non disturbate il manovratore sembra dire l’aria plumbea da dirigismo che pare alimentare le scelte del vertice della palla ovale.
La cosa interessante è come operativamente ed in che clima si è arrivati a queste “non scelte” che danno una “non notizia” e presentano un “non futuro” meritandosi titoli “non razionali”.
La tendenza a procrastinare ogni attività è chiaramente, in questo caso, una scelta “politica” dove per definire la parola politica dobbiamo ricorrere al vocabolario : teoria e pratica che hanno per oggetto l'organizzazione e il governo…… .
Non mi dilungo sui termini specifici della cosa e specialmente sulla questione Mallet per la quale potete leggere l’ottimo “Rugby 1823"qui
La politica quindi al di sopra del movimento sportivo, la “ragion del potere” sopra le necessità immediate di una organizzazione che è solo un movimento di associati che fanno quello sport e non è una industria….a meno che qualcuno non pensi che lo debba assolutamente diventare.
La “politica”, elemento indispensabile di ogni movimento sportivo, ha qui preso il sopravvento sul fattore sportivo: il vertice del rugby ha perso di vista il vero obiettivo, ha perso di vista il rugby.
Ho sentito un membro del Consiglio Federale, che forse qualcuno vorrebbe appunto diventasse un Consiglio di Amministrazione, ripetere in imbarazzante successione durante una sua breve “confessione” che lui nulla può fare, che non è determinante, e via così. Io ho pensato, oltre al fatto che se quello è il suo ruolo meglio una gita al Lago di Garda o sulle Dolomiti durante i giorni di Consiglio FIR, che forse il potere politico non solo è dominante ma è sovrastante nella organizzazione della palla ovale.
Ecco perché dicevo che i giorni sono contati, quando in una struttura il potere politico prende così pesantemente il sopravvento, quando non riconosce più se stesso e la mission originaria, quando si dimentica addirittura che di sport stiamo parlando e non di Bond ( anche se argentini ) o di operazioni di venture capital, bhe allora siamo alle porte di un grande cambiamento.
L’unica cosa da fare è capire dove va questo cambiamento e, se distruttivo, provare a dargli un duro cambio di direzione prima che sia il deserto.
Nel nome dello sport, pensando ai nostri ragazzi e alla tradizione del rugby italiano.
Niente altro, perché il rugby è così.
Cosa ne dice Consigliere ? Ci prova? Ce la fa?