Questo è il wine blog di Stefano Il Nero, un contenitore indipendente, indisponente ed insufficiente di impressioni sul vino
ed il suo mondo.
Al centro il gusto, la tradizione, il territorio.

giovedì 25 febbraio 2010

CHIANTI DOCG 2004 IL POGGIOLO FEDERICO BONFIO : UNA FORZA SEMPLICE


Io lo sapevo che la Beatrice detiene parenti toscani ma, sarà stato lo spaventoso volume di chiacchiere che stavamo sviluppando quel giorno, l’agguato che mi ha teso ha funzionato alla perfezione. Ha messo in tavola, fra i legumi che stavamo prelibatamente gustando, una bottiglia “di quello che piace a te…chianti no?“ e poi fra una sproloquiata ed un sano tocco di calice ho dovuto alzare il capo e dire ”ma questo chianti …docg vero? Ma scusa …l’è proprio bono….chi…”.
Già di chi è ? Me lo ricordo eccome il Luca. Come si dice, non lo vedo da ..”una vita”; ora lavora nel Friuli e poi corre giù continuamente al…. suo poggiolo. L’ho assaggiato così il suo Chianti Colli Senesi DOCG Il Poggiolo 2004 - Federico Bonfio.
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Federico Bonfio è una azienda agricola con una dozzina di ettari vitati in uno dei posti più affascinanti e suggestivi di tutta la Toscana: Monteriggioni.
Il nostro DOCG, uvaggio tipico Sangiovese, Canaiolo, Colorino, viene dichiarato per una produzione di ca 60.000 bottiglie annue; il contenuto dei vetri prima di arrivare all’assaggio intenerisce la propria esistenza attraverso una “vinificazione in acciaio per 12 giorni, passaggio in malolattica e affinamento in botti di rovere di Slavonia di grande dimensione (50 hl.) per 6-9 mesi, passaggio in botti di piccola dimensione (7,5 hl.) per altri 6 mesi”; non stanco della sbronza da botte “dopo l’imbottigliamento matura in bottiglia ulteriori 3-6 mesi”. Tutto da disciplinare ma anche qualcosa di più.
Chianti e Monteriggioni, mi rivedo le colline, dolci allo sguardo e indocili al passo, i cunicoli stretti del suo borgo, la piazza sterminatamente piccola, la vecchina che fa la maglia, è così il castello di Monteriggioni, come il suo vino.
Un rubino intenso e sfacciato con riflessi anticati sui suoi lembi, eccolo il prodotto del Poggiolo, al naso dichiaratamente floreale in principio, densamente legnoso poi; un legno duro e secco, nessuna concessione a vene di morbidezza ma non per questo carico e pesante, tutt’altro.
L’assaggio è sorprendente, beva semplice e ampia, non corposa anche se un po’ grezza, rimane veloce anche sul finale; sapori floreali, non allappante denota una media gradevole persistenza, in linea con la buona acidità del finale che lo rende piacevolmente “presente”. Gustosamente ribes giovane, nessun appassimento, gustoso al palato, in tavola ci resta a lungo, si lascia sorseggiare e si scopre in punta di piedi.
Questo Chianti è “una forza semplice”, fedele alla sua vocazione, insomma quello che ti aspetti arriva puntuale, non si smentisce; un leggero disequilibrio fra il naso e l’assaggio lo rileva la seconda beva, leggermente crudo? L’uvaggio forse è la chiave ma qui si esce dal bicchiere e si entra in casa del fattore: ad ognuno il suo.
Davvero un buon lavoro Luca ed è un vero piacere averti ritrovato, il tuo Poggiolo parla per te
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lunedì 22 febbraio 2010

RIESLING VIN D'ALSACE : CLEEBOURG 2005 PRESTIGE AOC


Se a Cleebourg fanno riesling lo devono , come capita spesso in giro per la nostra Europa, ai frati domenicani che nel 900 cominciarono la produzione; questa pregiata viticultura, in questo piccolissimo comune francese alsaziano situato all’estremo confine con la Germania, non si è mai interrotta salvo i periodi delle guerre che qualche danno alle vigne lo hanno arrecato eccome.
La mia ricerca di riesling alsaziano parte da questo signore qui il quale si diverte da un pezzo, l’ho già segnalato altrove, a tintinnare sotto il mio naso florealità parlanti lingua tedesca ed a decantarle per la loro ricercatezza (ha ragione)
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E’ così che sono arrivato alla produzione di questo paesino situato a 60 km a nord di Strasburgo ed al suo Cleebourg Riesling 2005 Prestige AOC Vin d’Alsace.
Bottiglia alta e snella con etichetta elegantona, versa il vino sul bicchiere e lascia la sua colorazione gialla intensa e pesante con qualche sfumatura verdone.
Appoggiato al naso si notano aromi dolci e maturi, miele penetrante gradevole ed aromatico con retrogusto evidente di pesca matura; aromi tondi e densi. Non c’è traccia dei suoi 11,5 gradi alcolici.
Beva iniziale spinosa con media persistenza, pizzica il palato e si fa presto riconoscere per il suo calore, sapori non eleganti ma decisamente tondi e gradevoli. Un vino di ottimo equilibrio con retrogusto intatto. Un riesling un po’ pesante, esagerato dirlo vino impegnativo, ma sicuramente non un vino facile, da meditazione? Può darsi, ma attenzione a mantenerlo in temperatura.
E' un vino da piccolo sorso che denota all’assaggio sapidità buona ed un tocco di agrume forse sfuggito al naso.
Complessivamente un vino senza alcuna sbavatura.
Un riesling che non ha nulla a che fare con quelli di casa nostra e, considerando che il vitigno è di origine tedesca, chissà, forse hanno ragione loro.
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sabato 20 febbraio 2010

MALLETT A CASA, GRAZIE. A CASA L'ANTI-RUGBY.

Può tornare a casa grazie.
E’ l’unica considerazione che purtroppo si merita il Coach della nostra Nazionale di Rugby, niente di più, inutile girarci intorno, inutile attendere che finisca il Sei Nazioni o che si materializzino altre sue improbabili conferenze stampa in quel suo italiano rabberciato ed incomprensibile (chiunque con i soldi che prende lui si sarebbe sforzato di più).
Può tornare a casa e poi anche “grazie”. Si anche grazie, perché noi italiani siamo mediamente gente educata, a differenza di lui, comprendiamo le sue difficoltà in questa italica avventura, sappiamo che alcune cose buone sono state fatte, non lo buttiamo via il Signor Mallett, lo congediamo con deferenza. Questo dovremmo fare un minuto dopo la chiusura del torneo europeo e mi piace dirvelo adesso, quando il torneo è solo a metà, quando il sipario non è ancora calato, perché i conti non tornano già ora ed ormai non possono tornare più. Vediamo qualche perchè così alla rinfusa.
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Mallett non fa per noi, non serve al nostro movimento, Mallett ha sbagliato tantissimo, Mallett non ha niente a che fare con gli obiettivi del rugby italiano (troppo concentrato sui suoi obiettivi), l’unico motivo per cui Mallett non dovrebbe andare a casa è proprio quello che non ha vinto una partita che sia una tranne la samoana predestinata.
Mallett non ha in testa una Nazionale di rugby italiana; la giostra continua di giocatori, la richiesta di naturalizzazioni improbabili preferite a giocatori nati e formati sul patrio suolo, gli esperimenti con cambi di ruolo sui singoli atleti che si dimostrano tutte le volte disastrosi in campo (ma non le vede in allenamento certe cose?).
Il Mallett non ha in testa un gioco per la nazionale
, forse l’avrebbe per un club sudafricano o neozelandese ma non per un paese come il nostro, con strutture fisiche come le nostre, con caratteristiche come quelle del nostro pubblico. Mallett semplicemente non ha stima del rugby italiano e men che meno di quello europeo.
Infatti Mallett non è ambasciatore del rugby italiano, lo ha fatto John Kirwan recentemente, Mallett non è credibile visto che passa le sue conferenze stampa, dopo l’inesorabile sconfitta, a dire quanto siamo piccoli, brutti sporchi e cattivi, inadatti al rugby e via così. Mai visto un Coach di una Nazionale in un posizionamento mediatico così antitetico agli obiettivi della sua Federazione.
Mallett non ha la stima dei suoi giocatori, e lui non l’ha di loro, tanto meno ha quella dei club di provenienza che lo subiscono e per i quali non rappresenta un esempio, non è esempio per nessun allenatore di nessuna categoria. Questo semplicemente perché un “metodo Mallett”, a parte il palestra palestra palestra, o un “gioco alla Mallett” non esiste. Non è idolo dei ragazzini del movimento, non è fenomeno di trascinamento e di crescita del movimento stesso; del resto non è simpatico e non fa nulla per esserlo. Non credo che grazie a lui qualcuno in Italia abbia cominciato a giocare a rugby (a meno che non fosse argentino o sudafricano da mettere nella lista dei naturalizzabili)
Mallett non ha una strategia complessiva e soprattutto non è uomo da mentalità vincente, non ha mai trasmesso a nessuno entusiasmo e mentalità vincente. Cosa se ne fa di uno così un movimento in crescita come il nostro?
Lo abbiamo visto anche recentemente; per il primo incontro del Sei Nazioni con l’Irlanda il Coach ha messo in campo una squadra con l’obiettivo di non prenderne troppe (anti-rugby), poi il Presidente Federale e il Capitano stampellato Parisse gliele hanno suonate di santa ragione e lui solo allora ti fa scendere in campo con l’Inghilterra una squadra con licenza di giocare e tutti ci divertiamo (non tanto ma piuttosto che niente..). Ovvio, perdiamo il match. Perdiamo senza problemi, con il sorriso, perché cosa vuoi pretendere da una squadra che, per le stesse dichiarazioni stampa del suo Coach prima di ogni match e prima dell’intero Torneo, ha licenza di perdere senza problemi tanto con cambierebbe nulla? Unico limite perdere con 15/20 punti di distacco. Follia. Come se il capo di una azienda avesse licenza di perdere sul bilancio ogni anno svariati milioni di lire e non avesse alcun obbligo di tentare l’utile d’esercizio. La cosa, già assurda così, diventa tragicomica se poi questo capo lo ricorda ogni giorno alle sue maestranze. Troppo comodo così.
Potremmo andare avanti per molto, lasciamo stare, lasciamo che Mallett vinca magari una partita, il risultato generale non cambia: con questo signore sudafricano non andiamo da nessuna parte, ci vada lui da qualche parte. Senza rancore, in amicizia, ma vada a casa. Grazie.
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mercoledì 17 febbraio 2010

CHIANTI CLASSICO CASTELLO DI UZZANO 2007 DOCG : DURO E PURO.


In principio fu il Chianti. Lo so che l’ho già detto ma la mia storia con il vino comincia con il Chianti ed il primo amore, si sa, non si scorda mai.
Nel lungo ed ormai datato periodo di assaggio chiantigiano questo Castello di Uzzano, anche nella versione “Riserva”, mi è venuto in mano molte volte. Confesso che le prime volte, neofita, mi piaceva l’etichetta, oggi l’etichetta, che non è cambiata, non mi piace più. La grafica è sempre la stessa ma i contenuti, autoreferenziali, sono zero informazioni per il consumatore; adesso noto la cosa, sono cresciuto io o è cambiato qualcosa nel mercato. Forse tutti e due.
Gradito ritorno in tavola comunque per questo Chianti Classico Castello di Uzzano 2007 DOCG.
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Il Castello di Uzzano, zona Greve del Chianti, nei dintorni del quale la Agricola omonima produce le sue uve, oltre 30 ettari di vitato, fu patria di disfide guelfe e ghibelline. Furono i secondi ad arrostirlo sul finire del milleduecento e cinquant’anni dopo i guelfi a rimetterlo su…e avanti così. Il vino in questione vanta le prima citazioni proprie in quel milletrecento, ne va molto fiera la Agricola Uzzano, cosa comune a molti produttori legati ai bellissimi borghi della bellissima Toscana. Fra il vino ed il suo castello oggi non c’è però alcun legame.
Il nostro appartiene alla zona del Chianti Classico, è bene sottolinearlo ora che la disfida si è risolta in carte bollate e divorzio, al collarino il Gallo Nero.
Scende nel bicchiere senza note di particolare densità, colore nero, onora perfettamente la denominazione di questo blog. Scuro che più scuro non si può.
Profumazione statica, non fa notare i suoi 13 gradi di alcol, vinoso con note di minerale, frutta rossa macinata, non eccessivo nella intensità di profumazione ma deciso.
Al palato ha una beva iniziale larga ed ampia poi diventa subito solida ed allappante, tannico, immediata la chiusura muscolosa da chianti con persistenza da Gran Signore del Castello. Alta sapidità, sangiovese puro puro; la cosa che mi stupisce di più è la sua acidità, evidente in chiusura, un tratto distintivo, voluta ed ineludibile: buona.
Un vino che non concede spazio alle smancerie, niente sopra le righe ma nessuna concessione al frivolo ed al leggiadro. Chianti duro e puro. Punto e basta.
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giovedì 11 febbraio 2010

IL CHIANTI DIVORZIA DAL CHIANTI, SENZA SE E SENZA MA ! MAH

Mai divorzio fu più agognato, mai separazione fu evidentemente così lungamente attesa. Comunicano quelli del Consorzio Chianti Classico : “ Divorzio alla Chiantigiana un provvedimento legislativo che il territorio del Chianti Classico aspettava da molti anni: nei vigneti collocati nel territorio del Gallo Nero non sarà più possibile produrre Chianti bensì solo Chianti Classico”. Continua poi ancora il comunicato dei Classici “Dopo 78 anni si è riusciti a trovare una soluzione che effettivamente separa il Chianti Classico dal Chianti….Un provvedimento che formalizza, senza se e senza ma, il riconoscimento esclusivo….
Il Consorzio del Chianti Classico esibisce i muscoli contro il Consorzio Vino Chianti, sprizza tannino da tutti i pori, toni aspri, accesi, declamazioni anche poco eleganti, dispettose; stile toscanaccio che merita commento adeguato per tutti e due: bravi bischeri!
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La querelle girava dal 1924, seconda Era Fascista, in mezzo c’è passato l’Impero, la Guerra Mondiale, l’attentato a Togliatti, il ’68, la musica degli Abba, Berlinguer, Craxi e Fanfani; in tutti questi anni i contadini del territorio “Classico” potevano, fino a ieri, destinare parte della propria produzione di uve per imbottigliare Chianti docg. Ora basta, da San Casciano, Greve, Radda, Gaiole, Castellina, Castelnuovo Berardenga, Barberino Val D’Elsa, Poggibonsi e Tavernelle Val di Pesa esce solo il Classico con il suo marchietto del Gallo Nero. Il resto del Chianti della Toscana è altra roba: non ci sbagliamo eh?
I numeri. Il Consorzio del Vino Chianti recita “il nostro Consorzio riunisce 4.500 produttori in 15 mila ettari di vigneti su 6 province e vanta oltre la metà delle docg della Toscana”. I Classici dichiarano invece “7.200 ettari di vigneti 600 soci produttori, di cui 350 imbottigliatori tra Firenze e Siena”.
Le differenze fra i due disciplinari sono visibili e da sempre invocate dai chianticlassicisti per la loro propensione alla qualità ed esclusività di prodotto rispetto ai sempliciotti chiantistidoccigi.
Il disciplinare del Classico chiede infatti un 80% di sangiovese (l’uva tipica) ed il restante 20% uve nere del territorio, i chiantistidoccigi fermano al 75% il sangiovese ed il restante ad altre uve (ammesse anche le bianche come la Malvasia); in genere gli standard di produzione del Classico sono più stringenti come ad esempio il fatto che la resa massima di uve consentita per ettaro non possa superare i 75 q.li mentre per l’altro Chianti può arrivare fino a 90.
Tutto questo vale un divorzio ? Bischerata.
Certo è più facile dividersi che vivere insieme, certo è più facile chiudersi in un cantuccio ad urlare la propria bravura invece di camminare insieme all’altro, così in un mondo, e in un mercato del vino, dove tutti tendono ad unire le forze questi invece zac zac. Come se un cliente di Los Angeles, una brav’uomo di Voghera o un acculturato fisico nucleare di Roma possano essere in grado di capire un divorzio e quindi la differenze fra classico e doccigi, visto poi che i due vini continueranno a chiamarsi entrambi Chianti !! Elaborare un unico disciplinare con più fasi di produzione, unico marchio, diversi livelli e denominazioni era impossibile? Quando ci si divide, si divide tutto, si prendono strade diverse, case diverse, soluzioni di vita diverse, investimenti diversi, fare tutto questo chiamandosi con lo stesso nome a me pare la solita cialtronata italica. Bella confusione sul mercato se ora un Consorzio dovesse cominciare, e ce ne sono tutte le premesse, a raccontare al mondo cose del tipo “il mio Chianti è più Chianti del suo!!
Popolo toscano quando smetterai di dividerti ?? State tutti li a criticare gli altri quando tutti sanno che tutt’oggi per andare da Firenze a Siena quasi ci vuole il passaporto.
Adesso avete diviso il Chianti, avete esagerato. Il mondo non gira così. Repetita iuvant: bischeri!
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venerdì 5 febbraio 2010

DALLE FIABE FIR AL SEI NAZIONI...RUGBY!


Vi voglio raccontare “la fiaba del Signor Intento che dura di molto tempo…..” una delle filastrocche della nonna risulta utile per tornare ancora sui fatti di rugby. Mi ci ero messo diverse volte a scrivere, aspettavo di poter dire la mia sulla fine della prima parte del campionato, ma poi neve e altre furbettate lo rimandavano a fine gennaio. Aspettavo di vedere chiusa la questione Celtic League ma il verdetto per gli Aironi del Po e Benetton Tv non è ancora arrivato nonostante la spesa per far partecipare i nostri due club/franchigia al torneo scozgallesirlandese sia aumentata di altri 3 milioni di euro a titolo di “buon entrata”, e sono 6 all’anno per team e tre di adesso che fa……perché commentare mica è finita qui.
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Intanto galoppava verso di me il Sei Nazioni e la tentazione di mandar i soliti accidenti, questa volta preventivi, al Mallett era forte ma mi sono trattenuto. L’ho fatto perché spero almeno quest’anno di avere torto, spero che Mallett, avendo avuto a disposizione tutto ciò che ha potuto, ci faccia disputare un Torneo almeno decente.
Volevo scrivere di Dondi, il mega-Presidente del rugby italico, che ha collezionato una figuraccia dietro l’altra anche recentemente; di lui però bisogna dire che è lo specchio del movimento sportivo che dirige, purtroppo spesso fatto di scarsi dirigenti e dirigenti scarsi.
Nessuna di queste cose però rappresenta un fatto compiuto, tutto galleggia in sonnolenta disarmonia nel magico mondo FIR, ovattato e colante il sangue del movimento stesso, silenziose e languide solo poche decisioni passano la frontiera della coscienza: generalmente l’incoscienza domina.
Critica gratuita ? Potrei farvi l’elenco dei misfatti del recente periodo ma nessuno ha pieno compimento ed allora, ovattiamo, taciamo il silenzio che si deve ai grandi : al Sei Nazioni.
Fino all’ultimo giorno del mitico torneo europeo difficilmente la FIR farà grandi proclami, salvo la barca non affondi in maniera patetica già con l’Irlanda sabato. Il 20 marzo invece uscendo dal Millennium Stadium di Cardiff il Presidente ci dirà. Nel frattempo avremo saputo, forse, il risultato sull’ingresso in Celtic League. Ci dirà.
Mentre la fiaba del Signor Intento prosegue il suo lento declamarsi ci dedichiamo al rugby giocato. Sei Nazioni in arrivo con le quattro selezioni italiane pronte a giocarsela tutta; già perché quattro?
Non dimentichiamo che oltre alla Nazionale di Capitan Ghiraldini & Co nello stesso periodo e con lo stesso calendario se la giocano le sei Nazioni under 18, under 20 ed anche la nostra bellissima Nazionale di rugby Femminile. Quest’ultima ha il suo esordio ad Ashbourne contro le irlandesi questa sera. In bocca al lupo ragazze.
Tuffiamoci nel rugby, Crouch, Touch, pause….engage!!


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mercoledì 3 febbraio 2010

ANTEPRIMA AMARONE 2006 (2a puntata) BLIND TASTING


Varcato il portone di cotanta conferenza stampa terminata in giubilo festante il passo lesto ci porta al salone delle degustazioni. Accompagno due celebri, la Lizzy di Vino Pigro e l’Aristide, con loro la scelta è amabilmente obbligata, blind tasting : degustazione cieca.
Sono 66 gli amarone in degustazione, rigorosamente coperta ogni singola bottiglia arriva al tavolo nel suo alone di velato mistero. Le prime 25 bottiglie sono campioni di botte, le restanti 41 campioni di bottiglia, prodotto finito. Stefano Il Nero ne ha assaggiati un totale di 27, 10 campioni di botte, 17 di bottiglia, metodo di scelta ? Random, casuale, “fa ti”. Vediamo come è andata.
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Quella che è rimasta alla fine è stata una sensazione generale che la produzione Amarone, che per il 2006 ha un volume di alcol medio di ben 15,8°, si identifichi ancora in due grandi famiglie.
La prima, con netta minoranza di adepti quest’anno ma più omogenea, quella del vino dolcione, cioccolatone, denso e gioioso, tendenzialmente giovane e spesso “immaturo”. Un Amarone che piace, che soddisfa la chiacchiera, magari non esperto da tavola.
La seconda tendenza invece, ritrovata nella maggioranza degli assaggi ma veramente riuscita solo in pochi, quella del vino elegante, raffinato, legno e “grafite”, asciutto e destinato decisamente alla tavola, un Amarone più vino e meno giocattolone.
Vediamo ora i migliori secondo Stefano Il Nero, cinque Amarone in tutto, uno di questi da botte.
LATIUM (Campione da botte)
Cantina operativa in Leon di Mezzane di Sotto, dichiara una produzione di sole 8200 bottiglie di questo che io ho trovato, fra gli assaggiati, il migliore campione di botte. Questo Amarone andrà in bottiglia e sul mercato solo nella primavera 2010 dopo 36 mesi di elevazione in botte.
Di colore intenso e rosso si distingue per una profumazione elegante e ampia, spezie e marasca non forte ma gradevole, assaggio con primaria sensazione di apertura al palato, segue un equilibrio sorprendente (questo vino è ancora in botte!!) con docili tannini e leggera persistenza.

Ora le segnalazioni fra quelli già in bottiglia

ACCORDINI STEFANO – ACINATICO –
Azienda di San Pietro in Cariano, i suoi 9 ettari vitati conferiscono al mercato, dopo 28 mesi di affinamento, quasi 18.000 bottiglie.
Rosso granato, frutta candita/passita la profumazione, elegantino ma anche dolcetto, quasi vanigliato, gradevole. L’assaggio rivela un buon equilibrio semplice da bere ma anche di discreta persistenza, ciliegina sul finale.
MONTE DALL’ORA
Da Castelrotto di San Pietro in Cariano questa azienda che porta sul mercato solo 6.000 prelibate bottiglie dai suoi 5 ettari, un vino che riposerà 36 mesi in botte grande e 15 mesi in bottiglia prima di arrivare a noi. Colore di un forte rubino, al naso ci regala ineguagliabilmente il vero profumo della terra, seguono note di amarena matura e di cannella. In bocca assaggio pieno, equilibrato e garbatissimo, un tocco di dolcezza di troppo sul finale rompe l’eleganza iniziale. Sta comunque bene anche a tavola.
LE TOBELE
Siamo a Valgatara di Marano in Valpolicella per le 30.000 bottiglie dichiarate in produzione dalla famiglia Degani. Docici mesi di elevazione in botte per l’Amarone delle Tobele.
Colore intenso e profumo acre, fumo e legno con dietro marasca barocca ma elegante. Una delizia al naso.
Assaggio persistente, leggermente allappante, non sempre garbato come al profumo , gradevole e rapido di beva, tannini non scomodanti ma presenti.
CESARI
Ecco il numero uno dell’assaggio in bottiglia. L’azienda è di quelle importanti in termini di numeri, dichiara produzione per 250.000 bottiglie e amministra 110 ettari di vitato su 5 comuni della Valpolicella, sede comunque è in Sorsei, Cavaion. Il loro Amarone mi è piaciuto per il suo equilibrio. Colore coerentemente rubino, ottimo il delicatissimo profumo di ciliegia matura ma non dolciosa, si sente odore di legno e l’acre della cantina. Bevuta elegante con piccola nota alcolica sul finale e leggerissimo ritorno di ciliegina. Va bene così.

Anteprima Amarone 2006 è finita, viva l’Amarone…..e non solo. Viva anche il Valpolicella Rugby attualmente primo in classifica in serie B. Bye bye Valpolicella.
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martedì 2 febbraio 2010

ANTEPRIMA AMARONE 2006 (1a puntata) IL CORAGGIO DI ESSERE LEONI


Una celebre citazione di Woody Allen recita “ Il leone ed il vitello giaceranno insieme. Ma il vitello dormirà ben poco”. Se si trattava di fare la scelta fra le due parti, il Consorzio Valpolicella ha scelto la prima. Mai come in questo caso fare il leone era rischioso, magari un vitellino insonne ed un po’ pavido poteva essere più comodo, invece ad Anteprima Amarone 2006 il Consorzio ha potuto mettere in campo tutte le sfide vinte con grinta e coraggio nell’ultimo periodo, una battaglia del fare.
Così nella sala gremita per la presentazione della celebre Anteprima veronese si sentivano frasi forti, monito ai produttori, come: “ La crisi non sia motivo per la ricerca di scorciatoie”, “la qualità è elemento di stabilità” e poi i numeri del Consorzio. Ettari vitati 6237, più di 2400 aziende di cui 1637 produttori di uve, una produzione nel 2009 tornata sotto i livelli del 2006 (meno 8%); sono 8,78 milioni le bottiglie prodotte nel 2009 circa duecentomila in più del 2008 e via così. Un percorso, quello del Consorzio Valpolicella, visibile anche nei numeri ma soprattutto nei fatti.
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La
revisione dei disciplinari ha regalato al celebre vino veronese oltre a norme chiare e stringenti sulla produzione di uve e vino, una denominazione finalmente al passo con i tempi:”Amarone della Valpolicella”. Vino e territorio binomio inscindibile.
L’arrivo della DOCG e la bellissima affermazione come "WINE REGION OF THE YEAR 2009", ambitissimo premio attribuito dalla prestigiosa rivista americana Wine Enthusiast battendo le altre blasonate zone, Champagne (France) Rhône Valley (France) Russian River Valley(California) Stellenbosch (South Africa), sono i due fiori all’occhiello ma non è finita qui.
Altro passaggio coraggioso: “Riducendo di quasi un 30% la quantità delle uve messe a riposo rispetto al 2008 si è mantenuta una remunerazione per ettaro interessante…..si è prontamente evitato un possibile crollo delle quotazioni dei vini sfusi” una scelta così ottiene il risultato di una “ulteriore selezione qualitativa”.
Poi Siquriache ha consentito di certificare ben dieci denominazioni senza aggravi ulteriori di costi per i produttori”. E’ in quel “dieci” la vera rivoluzione. Valpolicella, Breganze, Soave, Gambellara, Durello, Bardolino….tutti insieme per garantire controlli e certificati !! Wow, ed il campanile che fine ha fatto ??
Il piatto forte però è la presa di coscienza del Consorzio Valpolicella del fattore comunicazione e marketing dove, citiamo, “…il Consorzio sarà di conseguenza vetrina per tutte le aziende che vorranno comunicare…ufficio stampa..…ufficio progettazione eventi….” ed a seguire, udite udite, “ senza trascurare il web in quanto ormai una promozione e soprattutto il monitoraggio della stessa non possono prescindere da una presenza puntuale sulla rete”. Cari internauti, esistiamo !!
Sono seguite la relazioni tecniche (quadro agronomico, risultato della vendemmia, appassimento e produzione 2006) dove sono stati bravissimi i relatori a dirci che è stata una annata ‘nsoma, così così, non male, meglio del previsto, abbastanza discreta, buona, ottima, anzi fantastica. Potevano fare diversamente?
Relazioni finite, applausi, tutti contenti, bilancio da leoni. In barba ai vitelli.


Questo post è pubblicato anche su Terroir Amarone il Social Network a cui partecipano tutti i “Wine Lovers & Producers of Amarone della Valpolicella”. Anche Stefano il Nero.
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